10 febbraio 2010
Original Version: Proxy detention 'collusion’ exposed
Un nuovo rapporto delle Nazioni Unite conferma che il sistema delle "extraordinary renditions" e delle detenzioni segrete promosso dagli USA era un sistema globale con estese complicità in Europa e in Medio Oriente
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Secondo quanto riferito dagli investigatori delle Nazioni Unite, governi di tutto il mondo, compresi quelli di paesi arabi ed europei, sono stati collusi nella detenzione segreta di sospetti terroristi.
Un ampio rapporto, pubblicato mercoledì 27 gennaio, dipinge un quadro inquietante di un sistematico programma di detenzioni segrete che coinvolge molti paesi.
Alcuni funzionari sostengono che la detenzione segreta può "essere considerata un crimine contro l’umanità".
Il documento di 222 pagine, che verrà presentato al prossimo incontro del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, rappresenta il risultato di svariati anni di indagini e sottolinea che le detenzioni segrete sono " una molteplice violazione dei diritti umani e non possono essere giustificate in nessuna circostanza".
Malgrado l’esistenza di chiare leggi che vietano la detenzione segreta di prigionieri sia in tempo di guerra che di pace, gli investigatori sono giunti a concludere che negli anni successivi agli attacchi dell’11 settembre svariati paesi hanno preso parte al programma di detenzioni segrete gestito dagli Stati Uniti.
Complicità
Le critiche nei confronti delle politiche di detenzione degli Stati Uniti dopo il 2001 non sono una novità, ma il rapporto rappresenterà una lettura sgradevole per i leader dei paesi accusati di collusione con Washington nell’ormai defunto programma di detenzione e di "extraordinary renditions".
Regno Unito, Canada, Australia e Germania sono tutti accusati di "aver approfittato della situazione delle detenzioni segrete" inviando domande e ricevendo informazioni da prigionieri detenuti "per procura".
Il rapporto ha anche sottolineato come gli Stati Uniti abbiano "chiesto a paesi con un basso standard di rispetto dei diritti umani di tenere agli arresti ed interrogare prigionieri per conto degli USA", accusando in questo modo Giordania, Egitto, Siria, Marocco, Pakistan, Etiopia, Gibuti, e forse addirittura Uzbekistan, di tenere in stato di detenzione prigionieri per conto della CIA.
Gli autori del rapporto riconoscono che alcune delle accuse di complicità non possono essere confermate, ma sostengono che "la coerenza di molte delle dettagliate accuse fornite separatamente dai detenuti aggiunge peso" alle tesi che considerano questi paesi al centro di un sistema internazionale di detenzioni illegali.
Se da un lato le accuse riportate nel documento risalgono agli anni della presidenza Bush, gli investigatori criticano anche Barack Obama, l’attuale presidente degli Stati Uniti, per non essersi spinto abbastanza in là nel revisionare il sistema che egli ha ereditato nel momento in cui ha assunto il proprio incarico.
Sebbene il rapporto riconosca i successi di Obama, esso sostiene che c’è ancora molto da fare, fra cui la necessità di rivelare dove siano i prigionieri scomparsi all’interno di questo sistema.
"E’ necessario che vengano forniti chiarimenti sulla presunta esistenza di detenuti rinchiusi in "prigioni segrete" della CIA in Iraq e Afghanistan, o altrove, nel momento in cui il presidente Obama ha assunto il suo incarico, e in caso affermativo, sono necessari chiarimenti sulle sorti dei prigionieri detenuti a quell’epoca", si legge nel rapporto.
Sparizioni
La questione di cosa sia accaduto ai prigionieri incarcerati nell’ambito del sistema di detenzioni segrete degli Stati Uniti in passato, va ben oltre coloro che si trovavano sotto la custodia americana nel momento in cui Obama è entrato alla Casa Bianca.
Il rapporto espone i particolari del caso di un prigioniero, Mustafa Setmariam Naser, scomparso prima della fine del mandato di Bush.
Autore di numerosi libri ed altre pubblicazioni sull’Islam e sul jihad, l’uomo, di nazionalità siriana e spagnola, è stato catturato nel 2005 in Pakistan e consegnato alle autorità americane. Da quel momento, non si sono più avute sue notizie, sebbene lo scorso anno l’FBI abbia affermato che egli non era più sotto la custodia americana.
Una dichiarazione della CIA del giugno 2009 sulla questione della sparizione di Naser affermava che "l’agenzia non può né confermare né negare l’esistenza o la non esistenza di documentazione rispondente alle vostre richieste", aggiungendo che anche se la CIA avesse avuto quei documenti, sarebbero comunque stati di natura riservata.
Alcuni attivisti ritengono che Naser possa essere sotto la custodia siriana, e fanno appello al governo americano affinché venga rivelato il luogo di detenzione.
Il rapporto, inoltre, attacca l’amministrazione Obama per il modo in cui vengono trattati i prigionieri in Afghanistan, in particolari quelli detenuti nella prigione della base aerea di Bagram, descrivendo la situazione sul posto come "molto preoccupante".
Sono circa 650 i prigionieri detenuti a Bagram dagli Stati Uniti. Agli inizi del mese di gennaio, l’amministrazione Obama ha rilasciato una lista di nomi; è stata la prima volta che i prigionieri in Afghanistan sono stati formalmente identificati.
Gli investigatori delle Nazioni Unite hanno esortato gli Stati Uniti a rilasciare informazioni aggiuntive "sulla cittadinanza, la durata della detenzione e il luogo di cattura di tutti i detenuti attualmente trattenuti" nella prigione.
Reazioni
Le accuse di complicità nel programma americano di "renditions" hanno provocato furiose reazioni da parte di alcuni dei governi segnalati nel rapporto.
Il Regno Unito, il quale è accusato di complicità nei casi di "numerosi individui, compresi i casi di Binyam Mohamed, Salahuddin Amin, Zeeshan Siddiqui, Rangzieb Ahmed and Rashid Rauf", ha respinto il rapporto definendolo " non comprovato ed irresponsabile".
"Non vi è alcuna verità nel sostenere che colludere, facilitare o partecipare ad abusi nei confronti di prigionieri sia una nostra politica", ha dichiarato un portavoce del Foreign Office, aggiungendo che qualsiasi dibattito sulla questione "deve essere fondato su qualcosa di più che semplici dicerie e accuse non comprovate".
Il rapporto conclude però che le detenzioni segrete sono una realtà che va affrontata.
"Le prove raccolte dai quattro esperti per il presente studio mostrano che molti paesi, in relazione a preoccupazioni riguardanti la sicurezza nazionale – spesso percepite o presentate come minacce ed emergenze senza precedenti – ricorrono alle detenzioni secrete", dice il rapporto.
"Ad eccezione di rari casi, troppo poco è stato fatto per investigare sulle accuse di complicità".
Andrew Wander è un giornalista specializzato in diritti umani; lavora per la redazione di al-Jazeera che si occupa di libertà civili e diritti umani, occupandosi della prigione di Guantanamo e del sistema globale delle extraordinary renditions; ha lavorato come corrispondente nei Balcani e in Medio Oriente per diversi giornali inglesi e americani